LA DIETA CHETOGENICA
Sempre più spesso, in questo lavoro, ci si imbatte in pazienti che chiedono, senza sapere bene di cosa si tratti, diete a ridotto apporto glucidico, identificandole genericamente come “DIETA CHETOGENICA”. Questo avviene perché vanno “di moda”, generalmente in seguito a dichiarazioni da parte di qualche volto noto che ne elogia le caratteristiche e i rapidi risultati ottenuti.
Senza entrare troppo nel dettaglio, per non essere troppo prolissa, la dieta chetogenica nasce intorno agli anni 20, come terapia per l’epilessia, negli anni subisce diverse modifiche e prende diversi nomi (Atkins, Ducan, Paleo, MCT, LGIT, VLCKD, ecc.).
Tutti questi protocolli dietetici hanno come obiettivo l’induzione e il mantenimento dello stato di CHETOSI, distinguendosi in base alle modalità con cui questo viene indotto.
In condizioni fisiologiche l’organismo ricava energia, attraverso una serie di processi metabolici, a partire da glucosio circolante o da scorte di glicogeno (polimero del glucosio) che si trovano a livello muscolare ed epatico.
Quando si verificano però:
- carenza di glucosio ematico (tipica del digiuno)
- deplezione delle scorte di glicogeno (riserve di glucidi presenti nel fegato e nel muscolo) che riescono a fornire energia per circa 24 ore.
L’organismo è costretto a trovare fonti energetiche alternative agli zuccheri, e quindi mette in atto un processo metabolico che porta alla formazione di CORPI CHETONICI (e quindi all’insorgenza dello stato di chetosi). Queste sostanze, prodotte a partire da intermediari degli acidi grassi a livello epatico, sono le uniche, insieme agli zuccheri, in grado di passare la barriera ematoencefalica e portare nutrimento al cervello.
Nel protocollo originale (anni 20) l’induzione della chetosi avveniva mediante digiuno forzato per un periodo variabile dalle 12 alle 24 ore (previa ricovero ospedaliero). Alla fase di digiuno seguiva poi l’assunzione di pasti chetogenici e ipocalorici (con un apporto calorico gradualmente crescente rispetto al fabbisogno energetico giornaliero, 1/3, 2/3, 3/3 e una limitazione di assunzione dei liquidi). Questo tipo di protocollo nonostante abbia il vantaggio di raggiungere alti livelli di chetosi in tempi rapidi, ha l’inconveniente di necessitare un ricovero ospedaliero per la prima fase di digiuno e di essere poco applicabile nella vita quotidiana.
Per questo motivo sono state introdotte alcune varianti sia nella fase di induzione che nella struttura dietetica vera e propria. Le successive formulazioni prevedono un’induzione dello stato di chetosi più lenta (che si raggiunge in circa 24, 36 ore) innescata grazie ad una, più o meno progressiva, riduzione di carboidrati dalla dieta del paziente.
L’elaborazione di una dieta chetogenica ad oggi prevede di:
- fissare un rapporto chetogenico (grassi:non grassi (proteine e carboidrati) che può variare da 1:1 a 4:1. Nel rapporto 4:1, ad esempio, la dieta sarà composta da 4g (9Kcal per grammo) di grassi per 1g (4 Kcal per grammo) di nutrienti non grassi (proteine e carboidrati) per un equivalmente calorico pari a 40Kcal ((4×9=36)+(4×1=4)).
- stabilire il giusto apporto calorico giornaliero.
- calcolare il numero di unità caloriche corrispondenti per ricavare il contenuto totale di nutrienti grassi e non (proteine e carboidrati).
- sottrarre al totale di nutrienti non grassi il fabbisogno proteico stimato in base al peso corporeo del paziente per ottenere la quantità di carboidrati da inserire nel piano alimentare.
- suddividere i nutrienti nei pasti giornalieri.
- stimare l’apporto di fluidi e le integrazioni vitaminiche e minerali necessarie (poichè la scarsa assunzione di cibi amidacei e vegetali determina un basso apporto di vitamine e sali minerali e fibre).
In conclusione c’è da dire che, anche se, in effetti un regime dietetico a basso apporto glucidico è in grado di innescare un rapido dimagrimento (anche solo per il fatto che eliminando i carboidrati si riduce nettamente l’apporto calorico giornaliero), è un protocollo difficile da attuare, rispettare e mantenere nel lungo periodo anche perché si accompagna ad una serie di effetti collaterali che possono insorgere per carenze di alcuni nutrienti (vitamine e sali minerali) ed accumulo di altri (acidi grassi saturi, colesterolo).
Proprio perché potenzialmente rischioso per la salute è necessario un continuo monitoraggio del paziente da parte di uno specialista del settore.
FONTI
Introduzione alla biochimica di Lehninger, Zanichelli.
Fondamenti di biochimica, Peck Ritter, Zanichelli.
Manuale di nutrizione clinica e scienze dietetiche applicate, P. Binetti, M. Marcelli, R. Baisi, Seu Società Editrice Universo.
Alimentazione e nutrizione umana, A. Mariani Costantini, C. Cannella, G. Tomassi, Il Pensiero Scientifico Editore.
Alimentazione fitness e salute, Marco Neri, Alberto Mario Bargossi, Antonio Paoli, Elica editrice.
La cheto dieta, Maurizio Tommasini, Pickwik.
Congresso regionale ADI, Nuove frontiere della nutrizione clinica, Levico aprile 2016.
La dieta chetogenica: definizione e applicazioni cliniche nel paziente con eccesso di peso, Dr.ssa Dora Caterina Pultrone, Programma nazionale per la formazione continua degli operatori della Sanità.
La dieta chetogenica manuale informativo per il medico e il personale sanitario, Nutricia Metabolics.